15 – I FOSSILI RESTI MISTERIOSI DEL PASSATO 

15 – I FOSSILI RESTI MISTERIOSI DEL PASSATO 

CI AIUTANO A LEGGERE NEL LIBRO DELLA NATURA E A RICOSTRUIRE LA STORIA DELLA TERRA

Prof. Antonio dal Pra’ geologo maggio 2021 in tempi di pandemia

I nostri cari avi romani li definivano Ludus Naturae, scherzi della natura, tanto era strano trovare conchiglie marine in cima alle montagne. Certo che vedere l’impronta di una ammonite o di una qualunque conchiglia inglobata nella roccia o una zampaccia di dinosauro impressa su uno strato di calcare, a 2000 m di quota in cima ad una montagna, fa una certa impressione. E quante volte abbiamo sentito dire, al ritrovamento di un fossile marino sui monti: “ma allora qui un tempo lontano c’era il mare”. In realtà, ragazzi, vi posso assicurare che, ad eccezione di casi particolari come i trochi d’albero silicizzati, nessun fossile si trova nel luogo dove si è formato. Tutte le rocce che li contengono hanno subito nei milioni di anni della loro storia spostamenti di anche decine e decine di km. 

Quella dei fossili è una storia lunghissima, lunga molti milioni di anni. Pensate che i fossili più antichi risalgono ad oltre 3,5 miliardi di anni fa. Sembra impossibile, eppure il dato è certo e validato dalla scienza ufficiale. Sia in Groenlandia che in Canada e anche in Australia Occidentali, pochi anni fa sono stati rinvenuti entro le rocce microorganismi batterici, che rappresentano la più antica forma di vita sulla terra. La vita sulla terra, ragazzi è proprio antichissima. E l’uomo è apparso solo l’altro ieri.

Allora, cari miei, preparatevi ad un racconto lungo e noioso, faticoso e stancante. Ma potete mollare quando volete, prima di addormentarvi.

Però, amici miei, prima di continuare è proprio il caso che io chieda venia ai colleghi paleontologi, che leggendo questa mia geoillazione pandemica rabbrividiranno giustamente di sdegno: io mi sto avventurando in casa di altri e invadendo una disciplina che non è propriamente la mia e inoltre la sto banalizzando. Ma sappiano i cari colleghi che riconosco perfettamente l’enorme importanza della paleontologia, soprattutto perché lo studio dei fossili ci racconta la storia della terra, una storia lunghissima e costellata di vicende veramente catastrofiche.

Numerosissimi sono i musei che collezionano resti fossili, in tutti i paesi del mondo. Cose meravigliose, stupefacenti, inimmaginabili, che ci fanno spalancare gli occhi. Per la varietà delle forme, le dimensioni, la loro stranezza.

Come ben sapete, i fossili più comuni, che anche noi possiamo trovare camminando sulle nostre montagne, sono le conchiglie marine: una infinità di specie. Vi risparmio i nomi scientifici delle varie forme, naturalmente in latino, che nel nostro caso fanno altro che confusione. Comuni nei nostri monti sono, oltre alle conchiglie, anche fossili di alghe e coralli, e di ricci di mare. Raramente ci imbattiamo in crostacei, ma in giro ci sono. Sulle superfici di strato possono essere evidenti le orme di animali non marini che hanno passeggiato sulle spiagge, come i famosi dinosaurie e anche le tracce del passaggio di animali marini privi di conchiglia, come i mangiatori di fango, che poi espellevano lasciandosi dietro un lungo tubicino ancora bel visibile sulle superfici di strato. 

Se poi ci avventuriamo ad osservare una roccia al microscopio, in sezioni sottili, troveremo una infinità inimmaginabile di microfossili marini, piccolissime conchigliette di foraminiferi presenti a centinaia in qualche cm di roccia, resti di animaletti che vengono studiati dalla Micropaleontologia.

Certamente i fossili marini sono di gran lunga i più comuni e diffusi, presenti in tutte le rocce sedimentarie formatesi sotto il livello del mare: infatti l’ambiente marino è il luogo dove il processo di fossilizzazione avviene con più facilità, perché consente l’isolamento rapido e completo dell’animale deceduto e la sua copertura ad opera dei sedimenti fangosi che si accumulano continuamente sul fondo.

Sappiate però, e non meravigliatevi, che si sono trovati resti fossili del passato in moltissime altre forme anche non marine: addirittura insetti racchiusi entro masserelle di ambra antichissima (resina fossile), uova di mammiferi grossi come meloni, impronte delle zampe di giganteschi dinosauri, denti di squalo, tronchi d’albero silicizzati, intere piante perfettamente conservate, pesci meravigliosi, pollini di fiori, ossa e scheletri di grandi mammiferi e di coccodrilli e tartarughe sprofondati entro depositi di fango e intere balene. I musei sono colmi di tutti questi resti di organismi vissuti in passato, la maggior parte estinti, alcuni ancora viventi, questi ultimi con la dovuta evoluzione come ci ha insegnato il buon Darwin.

 Gli organismi del passato possono essere rappresentati sulle rocce da modelli e impronte, prodottisi quando il sedimento fangoso si è consolidato intorno al resto organico e questo è stato successivamente distrutto. Sul sedimento rimane quindi l’immagine negativa della superficie esterna. Il modello interno si ha quando il sedimento riempie la cavità per esempio di un mollusco, sostituendo le parti molli.

Sono note in tutti i paesi del mondo aree dove i fossili sono particolarmente abbondanti o particolari, indicate come giacimenti fossiliferi. Nelle nostre montagne venete è famosissima la Pesciara di Bolca, sul monte Postale nei Lessini Veronesi, che ha finora fornito almeno 200.000 reperti. Pesci meravigliosi, grandi palme, insetti, foglie, contenuti entro sottili strati di calcare a grana fine, formatosi da fanghi del fondo di un mare sottile, calmo, caldo, circa 50 milioni di anni fa, nell’Eocene Inferiore. Se visitate il piccolo museo del villaggio di Bolca o il grande museo di Scienze di Verona resterete certamente meravigliati e stupefatti dalla bellezza delle centinaia e centinaia di pesci perfettamente conservati. Fossili di Bolca, assieme ad una ricchissima altra fauna pietrificata, la potete osservare nel Museo di Scienze naturali di Padova, nel Palazza Cavalli alle Porte Contarine.

Ma vi voglio ricordare anche alcune località nei nostri rilievi montuosi e collinari dove potete osservare interessanti resti di fossili. Sugli strati calcarei del Giurese nei Lavini di Marco presso Rovereto, quelli ricordati dal vecchio Dante, sono ben visibili, lungo un sentiero archeologico ben attrezzato, orme di dinosauri, che 200 milioni di anni fa gironzolavano e sguazzavano gioiosi sulle spiagge fangose di allora; è un sito certamente da visitare. Sulle scogliere calcaree oligoceniche della Riviera Berica presso Vicenza sono abbondanti coralli e alghe fossili, che con un po’ di attenzione si possono individuare. I calcari triassici stratificati delle creste rocciose tra i Denti Italiano e Austriaco e il Rifugio Lancia sul Pasubio contengono una ricca fauna di turritelle, gasteropodi attorcigliati a torre, bellissimi da vedere e facile da trovare lungo il sentiero. Le marne cineree del Terziario che affiorano negli scassi stradali del Passo di Priabona presso Malo (VI) contengono conchiglie di ogni tipo, facilmente estraibili. E infine ricordo i famosi calcari rossi del Giurese superiore, il Malm, diffusi sull’altopiano dei Sette Comuni nel Vicentino e nei Lessini Veronesi, estratti da numerose cave: contengono ben visibili sulle superfici di strato magnifiche Ammoniti, di difficile estrazione, ma belle da osservare.

Come avviene la fossilizzazione di un resto animale o vegetale? Il processo è complesso e può durare per milioni di anni. Molto importante, come vi ho detto, è che il soggetto venga immediatamente isolato e coperto con materiali fini, limi, argille, fanghi, come avviene sui mari, sui laghi e nelle paludi. Le parti molli vanno in di solito putrefazione e vengono generalmente sostitute dal materiale che le avvolge. I gusci, di madreperla o altro, talora si conservano, ma più spesso vengono sciolti, oppure sostituiti con altri minerali come calcite, silice, gesso e talora anche con pirite o latri minerali. Sul fango che li avvolge, i resti lascino l’ impronta esterna e il modello interno. Ma ci sono molte altre forme di fossilizzazione.

Evidentemente i fossili si trovano quasi esclusivamente entro le rocce sedimentarie, che rappresentano depositi marini consolidati e pietrificati in milioni di anni (calcari, dolomie, marne, argille). Non si possono incontrare nelle rocce eruttive magmatiche e neppure negli scisti metamorfici (salvo eccezioni rarissime). Raramente si sono rinvenuti anche entro depositi di ceneri vulcaniche e tufi. Dei grandi animali si sono rinvenute parti dello scheletro, generalmente conservate entro calcari o marne o arenarie, materiali che hanno provveduto ad un completo avvolgimento ed isolamento alla morte dell’animale stesso.

In ambiente subaereo i resti degli organismi rimangono sepolti da sedimenti solo in casi rarissimi, come ad esempio a seguito di una eruzione vulcanica esplosiva con deposizione di materiale tufaceo, oppure a causa di un rapido accumulo di depositi alluvionali, o ancora in casi in cui l’organismo viene inglobato in resine, in ghiacci, o entro i fanghi di paludi e laghi.

Vi devo dire, e cerco di convincervi, che i resti fossili di forme di vita e di attività animale del passato assumono una enorme importanza nello studio della storia della terra. Molte sono le discipline scientifiche che li studiano: la Geologia, la Stratigrafia, la Biologia, la Sedimentologia, la Geografia Fisica. Ma la disciplina chiave per la lettura dell’albero evolutivo della vita è la Paleontologia. Lo studio anche di un singolo fossile può rivelare innumerevoli informazioni di vario tipo: la sua età, l’ambiente in cui viveva, il livello del mare, la temperatura dell’acqua e la salinità…..Seguendo la stessa specie di fossile nella serie di strati sovrapposti, i paleontologi studiano l’evoluzione delle forme nel tempo (vedi il solito vecchio Darwin), le variazioni ambientali, le cause dell’eventuale estinzione. I fossili dimostrano come si è sviluppata la vita sulla terra, fondamentale per conoscere l’evoluzione.

Il nostro amico Darwin ha coniato il termine di fossili viventi per indicare particolari tipi di organismi, animali e vegetali, ancor oggi in giro per il mondo, che hanno mantenuto caratteri morfologici simili a quelli dei loro antenati vissuti milioni e milioni di anni fa, a causa di un processo evolutivo molto lento. L’Opossum, mammifero marsupiale, ha caratteri primitivi molto simili ai suoi pareti del Cretaceo. Il Limulo, un artropode, è praticamente identico alle forme fossili del Giurassico. La Lingula, un brachiopode dell’Ordoviciano e il Nautilus, un cefalopode del Trias, sono rimasti praticamente invariati fino ad oggi. Tra i vegetali, famoso è il Ginkgo, comparso nel Giurese e arrivato fino ai giorni nostri senza modificazioni sostanziali.

Certi fossili marini caratterizzano e si trovano solo entro le rocce di un ben preciso periodo geologico. Sono i fossili guida, che i paleontologi usano per la datazione relativa delle rocce, secondo il principio della sovrapposizione degli strati (il più giovane sta sopra e il più vecchio sotto…salvo rovesciamenti degli strati, che sono stati capovolti durante l’orogenesi) e della successione faunistica. 

Per esempio, i fossili guida del Paleozoico, che va dai 512 ai 251 milioni di anni fa, sono le famose Trilobiti, piccoli artropodi di ambiente marino, lunghi da pochi mm a qualche cm, apparsi nel Cambiano (inizio Paleozoico) e scomparsi per estinzione nel Permiano (fine Paleozoico). In Italia se ne trovano solo in Sardegna. Ricordo che nei villaggi desertici del Marocco i bambini offrivano in vendita bellissime Trilobiti a buon mercato: ne ho acquistate parecchie, ma tornato a casa mi sono accorto che la maggior parte erano stampi artificiali di argilla….

I fossili guida del Mezozoico, 251 – 65 milioni di anni fa, sono le Ammoniti, che tutti voi certamente conoscete. Ne potete trovare in abbondanza e ben conservate negli strati di calcare rosso dell’Altopiano dei Sette Comini nel Vicentino (il noto Rosso Ammonitico, marmo pregiato nelle costruzioni). Si tratta di simpatici molluschi marini, la cui conchiglia ha una forma di spirale avvolta su un piano. Comparse improvvisamente nel Devoniano (400 milioni di anni fa), si sono estinte a fine Cretaceo. Per la loro straordinaria diffusione nei sedimenti marini di tutto il mondo e per la loro rapida evoluzione sono fossili guida di eccezionale valore. Le loro dimensioni variano normalmente da 1 cm fino a 20 cm, ma sono state trovate anche ammoniti gigantesche, con diametro fino a oltre 2 m. 

Il Cenozoico è caratterizzato dalle Nummuliti, microfossili marini estinti, appartenenti ai foraminiferi, a forma di piccoli dischi a spirale, di dimensioni da meno di 1 mm fino a 7 – 8 cm. Sono importantissimi fossili guida dell’Eocene (56-38 milioni di anni fa). Sono molti diffuse nei calcari dei Monti Berici e delle Colline del Marosticano, ben visibili entro i calcari anche ad occhio nudo.

 Durante la lunga storia della terra, nel susseguirsi delle ere geologiche, sono apparse e si sono estinte centinaia di migliaia di specie viventi. Di alcune non resta traccia, altre hanno lasciato fossili. L’apparizione di una nuova specie, presente in forma fossile su determinati strati sedimentari e completamente assente negli strati sottostanti più antichi, denota la sua individualizzazione per evoluzione da un’altra specie. Invece la sua estinzione, rilevata per la sua assenza in strati soprastanti più giovani, può essere dovuta alla sua involuzione genetica con la perdita della capacità di riprodursi. Oppure può derivare da un avvenimento che ha determinato mutamenti tali da compromettere la vita della specie stessa: possono essere importanti variazioni climatiche, variazioni del livello dei mari, avvenimenti catastrofici che hanno sconvolto le condizioni ambientali.

A questo punto, ragazzi, è il caso che parliamo dei famosi dinosauri, che apparsi sulla terra all’inizio del Trias inferiore 230 milioni di anni fa, si sono improvvisamente estinti 65 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo. Resti fossili di scheletri di dinosauri sono stati rinvenuti in abbondanza in molti paesi del mondo, talora ben conservati e ora in bella mostra nei musei. Questi animali raggruppano un numero vastissimo di specie, talora molto diverse tra loro: quadrupedi, bipedi, erbivori, carnivori, volanti e terrestri, dotati talora di corna o artigli, oppure corone e creste sulla testa, piccoli di qualche decina di cm di altezza fino a giganteschi. Il Tyrannosaurus Rex, un carnivoro estinto alla fine Cretaceo, raggiungeva un’ altezza di 5-6 m e una lunghezza di 13-14 m, con una coda lunga e pesate e delle mandibole potentissime. I bravi paleontologi sono andati oltre: hanno stimato il suo peso, valutato di 7-8 tonnellate. Dalle orme lasciate nei fanghi delle spiagge, individuate in varie parti del mondo su superfici di strati di rocce sedimentarie, i soliti bravi studiosi riescono ad ottenere molte informazioni, per esempio se l’animale fosse un quadrupede o un bipede, se fosse pesante e lento nel procedere o se invece corresse agilmente, se trascinasse la coda per terra…….

La causa della stupefacente estinzione dei dinosauri è stata a lungo oggetto di litigi, dispute e lunghe controversie tra i paleontologi, e ancor oggi non tutti hanno raggiunto un accordo. Tuttavia la causa che oggi trova il maggior consenso è quella dell’impatto di un grosso meteorite precipitato sulla terra alla fine del Cretaceo. Questo bolide celeste, stimato del diametro tra i 5 e i 15 km, pare sia caduto in Messico, dove i bravi geologi avrebbero anche individuato il cratere di impatto. La caduta fragorosa di questo meteorite avrebbe dapprima determinato una terribile onda di calore e successivamente un polverone tale da avvolgere la terra togliendo ai dinosauri la luce e il calore del sole, determinando la loro estinzione di massa. 

Particolare attenzione e curiosità merita il fenomeno della pietrificazione delle piante, generalmente silicizzate. Tra l’altro il fenomeno è particolare perché si ha la conservazione degli alberi nel sito dove questi sono cresciuti. Possono essere tronchi stesi al suolo o anche in posizione eretta con il loro apparato radicale piantato nel paleosuolo.

 Il processo di gran lunga più comune della pietrificazione è la silicizzazione, che consiste nella completa sostituzione delle parti dure degli alberi, corteccia e tronco, con atomi di silicio, conservando intatta la struttura. Per pietrificare occorre che gli alberi vengano sepolti e coperti rapidamente in ambiente privo di ossigeno che impedisca la decomposizione del legno. Processi di silicizzazione di foreste sono avvenuti in tutte le ere geologiche e in molte parti del mondo, ma sempre in conseguenza di eventi catastrofici che abbiano provocato la sommersione improvvisa degli alberi con sedimenti fini (argille, limi, ceneri vulcaniche). Occorre naturalmente la presenza e la permeazione di fluidi ricchi di silice. La maggior parte delle foreste pietrificate che sono state ritrovate si sono formate tra 50 e 260 milioni di anni fa, al tempo dei Dinosauri nel periodo tra il Trias e il Cretaceo. Le specie più comuni di alberi silicizzati sono Araucarie, Cedri, Ebani, Gingo e Palme.

Foreste pietrificate con i resti fossili dei vegetali e alberi di allora sono state trovate in moltissime parti del mondo. Eccovi alcuni esempi: in America nell’Illinois (10 kmq di area risalente al carbonifero) e in Arizzona nel Trias Superiore; in Inghilterra nel Galles. In Antartide, in Ungheria. Ho avuto la fortuna di vederne una in Namibia, durante uno dei miei viaggi: decine di trochi al suolo, lunghi 7-8 m, del diametro di 70-80 cm, completamente silicizzati, durissimi.

Anche in Italia sono noti alcuni siti di alberi silicizzati. In Sardegna, ad Anglone, una antica foresta è stata pietrificata 20 milioni di anni fa, quando una eruzione vulcanica la coprì di uno spesso strato di cenere silicea. Ancora in Sardegna si può visitare la foresta silicizzata di Zuri, del Miocene, sepolta da detriti di pomice silicea. A Perfugas, sempre in Sardegna, una foresta restò silicizzata dopo la sommersione da un lago provocato da una frana, in sedimenti silicei. Nella zona di Terni a Dunarobba, si sono trovati tronchi pietrificati entro le argille del Pliocene. In casi molto rari, si sono trovati tronchi pietrificati ad opera della sostituzione delle parti legnose con minerali di ferro, manganese, rame.

Il numero di organismi vissuti sulla terra dall’origine fino ad oggi è enorme, incommensurabile, come le stelle in cielo. Si tratta di un numero straordinariamente più grande del numero degli organismi che hanno lasciato fossili. Infatti la fossilizzazione è un processo che avviene raramente e in condizioni particolari. I fossili sono rari perché la loro formazione e il loro affioramento in superficie richiedono il contemporaneo verificarsi di una serie di processi chimici, fisici, biologici e geologici. Processi orogenetici portano successivamente alla luce, dopo anche milioni di anni, il fossile che si è formato. Si stima che meno di una specie su mille vissute nel passato abbia lasciato una traccia giunta fino a noi.

Se riusciamo a rinvenire e studiare i resti fossili, possiamo stabilire a distanza di milioni di anni quali organismi vivevano nel luogo in cui quella roccia si stava formando. Diventa così possibile la ricostruzione di antichi ambienti anche dal punto di vista biologico oltre che da quello fisico e geografico. Forniscono dati preziosi sui vari aspetti della vita antica delle piante e degli animali succedutisi nel tempo. Nonostante il quadro delle conoscenze sia largamente incompleto, è stato possibile in casi fortunati ricostruire frammenti di una certa ampiezza della storia dell’evoluzione biologica. La maggior parte dei dati utilizzati per documentare l’evoluzione degli organismi proviene dallo studio dei fossili.

A Cortina, che tutti voi conoscete e dove qualcuno di voi ha anche la villa, esiste un museo eccezionale per il suo contenuto in fossili. E’ il Museo Rinaldo Zardini, lo studioso che ha iniziato e arricchito per molto tempo questa raccolta di resti fossili raccolti nelle Dolomiti, importantissima e famosa in tutto il mondo. Una collezione di inestimabile valore, unica e imperdibile, di conchiglie bivalvi, coralli, alghe, spugne, ammoniti, megalodonti, madrepore, resine fossili (ambre). La ricchezza e la varietà dei fossili deriva dalla complessità della storia geologica delle Dolomiti, caratterizzata da frequenti e importanti variazioni di ambiente, da mari profondi a mari sottili, con poderose eruzioni vulcaniche, da mari estesi seguiti dalla formazione di un arcipelago di mare caldo cosparso di isole e barriere coralline. Con questi mutamenti varie faune si sono alternate, estinte, riapparse con forme nuove, e poi sepolte sotto i sedimenti e fossilizzate entro le diverse formazioni rocciose.

 Le Dolomiti, con i loro vari tipi di rocce e di fossili raccontano una lunga e complicata storia geologica e di evoluzione degli esseri viventi, a partire da oltre 250 milioni di anni fa, dalla fine del Permiano (Paleozoico). Le rocce con i fossili più antichi, del Permiano, affiorano molto ben visibili alla sommità di Passo Rolle, con fitte stratificazioni marnose e arenacee di colore scuro, nerastro e rossastro, poste alla base delle imponenti pareti rocciose chiare, carbonatiche, che si innalzano per centinaia di metri. La regione dolomitica è famosa soprattutto per le isole e le barriere coralline formatesi in mari caldi. I resti di queste antiche scogliere ricchissime di fossili di coralli, alghe, spugne, sono lo Sciliar, le Odle, il Sass di Putia. L’antico arcipelago triassico, di 235 milioni di anni fa, era costituto dal Sassolungo, dal Sella, dalla Gardenaccia. Più recenti, formate da potenti accumuli di detriti di sedimenti e resti di conchiglie marine sono i massicci della Dolomia Principale (Trias Superiore) delle Tre Cime di Lavaredo, del Sasso della Croce, delle Conturines, della Lavarella. Alla fine del Cretaceo, circa 100 milioni di fa, la collisione tra la placca europea e la placca asiatica determinò l’orogenesi delle Alpi, e dal fondo marino l’enorme pacchetto di strati e di barriere ed isole coralline si sollevarono pian piano a formare le Dolomiti, innalzando le rocce di anche 3000 m. Il lento innalzamento, durato milioni di anni e che alcuni ricercatori dicono continui anche oggi, ha portato alla luce tutta la serie stratigrafica delle rocce formatesi in oltre 150 milioni di anni, dal permiano al Cretaceo.

Cari amici, già vi vedo con scarponi, zaino in spalla e mazzetta in mano a scalpellare furiosamente sulle rocce per estrarre una povera ammonite. State bene attenti!!! Severe Leggi Regionali e Provinciali, sia in Veneto che nelle Provincie di Trento e Bolzano, regolano l’estrazione e la raccolta di fossili e minerali. Sono necessarie autorizzazioni specifiche e personali, che in genere vengono rilasciate solo per scopi di studio a persone che dimostrino competenza. State accorti, i carabinieri forestali vi aspettano con multe piuttosto salate.

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Pubblicato in Geoillazioni.

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